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“TACETE, O MASCHI. Le poetesse marchigiane del ‘300: una generazione cancellata”, di Mercedes Arriga Florez e Daniele Cerrato

29/03/2022

In queste due liriche tratte dal testo Tacete o Maschi, secondo l’uso antico, due poetesse si rispondo in versi: Mariangela Gualtieri risponde con una Lettera a Leonora della Genga, inedita scrittrice marchigiana del ‘300

Un dialogo esclusivo e intimo tra due poetesse di epoche e scritture diverse circa una questione ancora fondamentale: l’affermazione femminile.

Le poetesse marchigiane del 300 possono essere considerate la prima generazione di scrittrici della letteratura italiana. Nelle loro liriche rivendicano il diritto di una piena legittimità in letteratura, non come icone femminili ma come vere e proprie autrici. Ignorate, cancellate, spesso delegittimate, le autrici donne sono state nel corso dei secoli vittime di un forte disequilibrio nella rappresentazione e nello spazio assegnato loro nella storia della letteratura.

Leonora della Genga con il suo sonetto risponde ironicamente e polemicamente alla misoginia della sua epoca mostrando con quale autorevolezza è in grado di esprimersi l’io lirico femminile. Mariangela Gualtieri, con le parole espresse nella sua Lettera,  instaura con Leonora un rapporto di sorellanza e amicizia che travalica il tempo grazie allo scambio e al dialogo letterario, proseguendo così la genealogia femminile di scrittrici.

 

LEONORA DELLA GENGA (poetessa marchigiana del ‘300)

 

Tacete, o maschi, a dir, che la Natura

A far il maschio solamente intenda,

e per formar la femmina non prenda,

se non contra sua voglia alcuna cura.

 

Qual’invidia per tal, qual nube oscura

Fa, che la mente vostra non comprenda,

com’ella in farle ogni sua forza spenda,

onde la gloria lor la vostra oscura?

 

Sanno le donne maneggiar le spade,

sanno regger gl’Imperi, e sanno ancora

trovar il cammin dritto in Elicona.

 

In ogni cosa il valor vostro cade,

uomini, appresso loro. Uomo non fora

Mai per torne di man pregio, o corona.

 

 

MARIANGELA GUALTIERI

 

Cara Leonora,

ecco, ti scrivo 600 anni dopo.

Ti sento vicina.

Il grande sacrificio dell’energia femminile

di questo femminile dell’umano

non è terminato e nella più parte del pianeta

procede – come e peggio di allora.

Questo sacrificio lungo, non ben compreso ancora,

ha sbilanciato la specie. In più parti

i peggiori sono al comando. Non c’è concordanza,

armonia, grazia, gentilezza non c’è,

non c’è intesa con l’altro da sé, l’aver cura,

comprensione, pazienza, compassione,

accoglienza non c’è, tutte virtù mancanti.

E intorno natura a volte rispecchia e rilancia la stessa

mancanza, come specchio di noi, con inimicizia

di acque e venti sgarbatissimi e sommovimenti frananti.

Leonora, non ti parlo di uomini e donne.

Ti parlo di energia femminile, di quella forza

che genera, che partorisce, non solo figli

ma opere, pensieri, avventure, che protegge,

che cura, che è in dialogo con

tutto il resto, che sa che tutto il resto

ci tiene in vita, nella vita, che sa che

Il canto e la danza sono le lingue della terra.

Ti parlo, Leonora, di quella intelligenza d’amore

che adesso mi muove il respiro

mentre qui, accucciata nella campagna

vengo vicina a te che non so dove sei

cosa e come eri allora e come sei ora.

E poiché i miei maestri dicono che nell’universo

c’è solo vita niente altro che vita, cavalco con te

il misterioso ponte delle apparenze

e ti tocco, ti chiamo. Perché la tua energia di mano

scriva insieme alla mia mano questo modesto poema.

Adesso sappiamo di non essere noi

la specie migliore. Sappiamo

che gli organi sotto il petto, cuore reni polmone

fegato e il resto, sono forme antiquate e altre

creature terrestri sono meglio attrezzate di noi.

Impareggiabili forme

più complesse e resistenti dell’umano

piene di intelligente ardore

con vite secolari eppure nuove

concertano fra loro le potenze

le forme le resistenze l’intreccio

la concordanza, l’armonica esistenza,

il passaggio delle sostanze,

nell’unico organismo respirante che chiamiamo

terra, mondo, pianeta orbitante.

Vita si chiama. è una ed è concertata.

Nessuno da solo può fare il suo canto.

È voce d’insieme, vuole tutte le forme e sostanze

e attecchisce nel buio profondo

del fondo e anche sulle seccaglie più ardite.

Nell’umido delle ferite, nell’arido

di sabbie ventose. si fa piccolissima

 o enorme come i grandi sistemi

che la tengono stretta vegetando

insieme per mille e più anni.

Ed è così rara. E? raro in questo universo

che sta raffreddando, trovare

un piccolo tiepido nido rotante.

Intorno c’è gelo.

E nella grazia gioiosa di nido

è chiara, ovunque evidente,

la forza dell’energia femminile

spingente, accudente –

la germogliante forza. Io la servo –

mi faccio accogliente di lei

che sempre accoglie. la canto.

Come te, Leonora dormiente o forse

volante, circumnavigante, stellare

sorella poeta – cometa.

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