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“Seni e Uova” di Mieko Kawakami. I sempreverdi interrogativi dell’universo femminile, di Alessia Bianchi

07/06/2022

Avete presente quei libri che appena li vedete vi incuriosiscono? Non è un vero e proprio colpo di fulmine, perché in quel caso il libro in questione lo si acquista senza indugi. È piuttosto un’attrazione, quasi un flirtare con il libro e spesso passano settimane o addirittura mesi anche solo per decidersi a leggerlo. A me capita spesso e mi è capitato anche con “Seni e Uova”, di Mieko Kawakami.

Mi attirava tutto di questo libro: la copertina, con quell’immagine quasi di design, i colori tenui. La consistenza della pagina, che a toccarla sembra una carezza. E quel titolo, che in questo caso ha conservato la valenza dell’originale, rivelando in corso d’opera tutta la sagacia, la provocazione, l’allusione; perché sui “seni” ci si può anche arrivare ma…le “uova”?

Infine, due o tre mesi fa, l’ho finalmente letto e non è stata, lo ammetto e lo premetto, una lettura facile. Non per la mole; altri tomi, di analoga portata, sono stati liquidati in pochi giorni.

Non è stata facile perché, se anche i grandi quesiti esistenziali hanno le loro quote rosa, “Seni e uova” ti sbatte letteralmente in faccia alcuni tra quelli più spinosi, emozionali e ansiogeni. Quindi questa lettura l’ho dovuta gestire a piccole dosi, prendendomi delle pause per respirare, a volte per aspettare che passasse quel nodo alla gola, ed anche chiedendomi se davvero volevo proseguire. Certamente si è armonizzata con un momento particolare della mia vita e credendo fortemente nelle sincronicità, come avrei potuto sottrarmi?

Attenzione però che “non facile” non significa sgradevole ma semplicemente, se così si può dire, emotivamente impegnativa. E quando qualcosa ci scuote e ci emoziona è sempre e comunque positivo.

Ma andiamo con ordine. Il romanzo si apre con queste parole:

«Quando voglio sapere se una persona è nata povera, non c’è niente di meglio che chiederle quante finestre c’erano nella casa in cui è cresciuta. Non serve fare domande su ciò che mangiava e sui vestiti che indossava. Per scoprire il grado di povertà è essenziale conoscere il numero delle finestre. Sì, proprio così, perché secondo me esiste una correlazione diretta tra povertà e finestre. Nella maggior parte dei casi, se le finestre erano poche o addirittura assenti, è abbastanza facile intuire quanto una persona sia stata povera. […]»

Quest’immagine mi ha molto colpita, rievocando un episodio raccontatomi spesso da mia madre, di una volta in cui, appena adolescente, dormì a casa di alcuni lontani parenti che avevano sì le finestre, ma senza vetri; ed essendo autunno inoltrato è rimasto indelebile in lei il ricordo del freddo patito in quella notte insonne.

Molti, in quest’immagine, hanno visto una fotografia della società giapponese contemporanea – osservata da un punto di vista pressoché esclusivamente al femminile – e della fatica di molte donne di arrivare a fine mese e ancor più ad una indipendenza economica. In effetti, il riferimento ai soldi è ricorrente lungo tutta la lettura, rivelandosi uno dei temi chiave del romanzo, quasi a dichiarare, attraverso le protagoniste, il desiderio, che è quasi un’urgenza, di affrancarsi da una situazione di sopravvivenza che sembra ormai connaturata alla loro stessa esistenza.

Le protagoniste, Natsu (Natsuko) e Makiko, due sorelle di Osaka che hanno conosciuto presto il dolore e la fatica. L’una aspirante scrittrice, con una grande desiderio di maternità. L’altra madre sola, disperatamente alla ricerca di un riscatto del proprio essere donna. E poi Midoriko, rispettivamente nipote e figlia, adolescente in conflitto con se stessa, con la figura di un genitore di cui non comprende le scelte e a cui non riesce a dichiarare il proprio amore, e con la vita.

Tre figure femminili, tre esistenze raccontate attraverso lo scorrere degli anni, esplorando i turbamenti, le emozioni, i dubbi e le paure che caratterizzano le varie fasi della vita di ogni donna e con cui ogni donna, in diversi modi e con differenti intensità, si troverà prima o poi a confrontarsi: lo stupore, misto a paura per il proprio corpo che si trasforma, che cambia, dapprima in un fiorire e poi in una maturazione non sempre facile da accettare. Il faccia a faccia col tempo che passa, lasciando segni in quello stesso corpo, ma anche nell’anima e nella psiche. Un’autostima ed una sicurezza di sé che sono spesso anzitutto un obiettivo da raggiungere e poi da conservare. L’impegno e l’audacia di credere nelle proprie passioni.

Un romanzo che esplora, con schiettezza e una buona dose di ironia, forza e fragilità dell’universo femminile. Tante domande che hanno forse un’unica comune risposta: la libertà di essere se stesse, al di fuori di schemi e convenzioni. Semplicemente essere.

 

Alessia Bianchi, di formazione umanistico – antropologica, dopo la laurea in “Scienze Umane dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio” ed un master in “Valorizzazione e Conservazione del Patrimonio Culturale Locale” ha accumulato diverse esperienze professionali, spaziando tra musei, scuole e la libera professione.
Libri e lettura sono sempre stati una sua grande passione, tanto da ritenere di essere diventata libraia per destino. Per esattezza di definizione: “La Libraia dai Riccioli Rossi”, nome con cui condivide recensioni e suggerimenti di lettura sui suoi neonati canali social, Telegram ed Instagram.
Libraia per destino e per passione, così le piace definirsi, poiché la parte più bella di questo lavoro è ascoltare chi si ha di fronte, intercettarne emozioni e vissuto e riuscire a consigliare la lettura più appropriata ed empatica con quel preciso momento.
Sempre guidata dalla forte convinzione che “La parola crea”.
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