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Lettere di Westerbork di Hetty Hillesum

27/01/2021

…nella Giornata della Memoria…

“Ci sono poche grandi cose che importano nella vita, bisogna tenere lo sguardo fisso su di esse e lasciar perdere senza timore tutto il resto. E queste poche grandi cose le ritroviamo ovunque. Bisogna imparare a riscoprirle senza sosta in sé per rinnovarsene. E malgrado tutto, si torna sempre alla stessa constatazione; per essenza, la vita è buona (…) I campi dell’anima e dello spirito sono così vasti, così infiniti, che questa piccola quota di sconforto e di sofferenze fisiche non ha più alcuna importanza; io non ho l’impressione di essere stata privata della mia libertà e in fondo, nessuno può davvero farmi male”. Lettere di Westerbork, 26-29 giugno 1943

 

Ci sono libri che hanno una potenza straordinaria nell’essere non solo testimonianza di fatti stranianti e spaventosi, ma soprattutto memoria di una strenua volontà di resilienza di fronte al tentativo di compiere il folle progetto di  disumanizzazione dell’uomo.

Unitamente al Dario, le Lettere di Westerbork, appartengono a quei testi che fanno sentire tutta l’anti-fragilità dell’essere umano di fronte all’insensata banalità del male. Hetty le scrive prima di essere deportata ad Auschwitz; in esse il suo pensiero appartiene a una logica del vivere in perdita: nessuna risposta, nessun controbattere, nessuna battaglia, nessun nemico e nessun aggrapparsi.

La forza nel suo sentire sta nel farsi umile. Non si tratta per lei di porgere l’altra guancia,  si tratta di quel “disorientamento doloroso e al contempo interrogativo”, che sente come unico modo di porsi davanti all’odio e alla distruzione della guerra. “Crollare violentemente sulle ginocchia“, scrive Etty “E poi avere pace“.

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