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Gli spazi della globalizzazione di Gaia Miglietti

27/07/2021

di Gaia Miglietti

 

Cos’è la globalizzazione? Come ci sta influenzando? Com’è cambiato il modo in cui viviamo, abitiamo, interagiamo con gli altri e acquisiamo nuove conoscenze? È possibile parlare di spazi della globalizzazione, oppure dovremmo considerarla semplicemente come la condizione economica dell’uomo contemporaneo?

Il susseguirsi degli eventi storici e l’entusiasmo per la ripartenza post-bellica hanno impedito una riflessione da parte della politica sulle modifiche in atto. La tecnocrazia e la crescente brama di consumo hanno preso possesso degli spazi pubblici e privati, modellandoli sulla base delle proprie esigenze di mercato. In ultimo, i media hanno stravolto il modo umano di abitare, creando mondi paralleli che si nutrono del nostro tempo.

Perciò, cos’è la globalizzazione? Il termine globalizzazione è stato coniato dalla rivista The Economist nel 1962, per indicare il “fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito dalla diffusione delle trasformazioni economiche, dalle innovazioni tecnologiche e dai mutamenti geopolitici che hanno spinto verso modelli di produzione e di consumo più uniformi e convergenti” (Treccani). La globalizzazione è un processo iniziato più di 150.000 anni fa che ha contribuito a modellare l’attuale società stanziale e produttiva. Il cambiamento epocale a cui essa ha condotto è l’interdipendenza planetaria, quella condizione di un destino comune che lega strettamente uomini, animali e natura.

La tecnologia è stata ed è ancora oggi un elemento fondamentale della globalizzazione. A partire dalla Rivoluzione Industriale l’uomo è stato dotato di possibilità infinite e oggi muoversi, incontrarsi, lavorare, produrre non hanno limiti. Per primo il concetto di confine geografico ed etnico ha mutato di significato: da barriera invalidante a luogo di scontro/incontro dove la complessità si manifesta in tutta la sua potenza. Era necessario un approccio olistico per affrontare questa situazione, ma è arrivata la semplificazione a privarci del piacere di fronteggiare la complessità e scoprirne la bellezza. Tutto il resto ne è conseguenza. Le società hanno perso la loro coesione a causa del bisogno economico di velocità: non c’è tempo per stringere legami, perché il tempo è denaro. Il tempo è ciò definisce la classe sociale di ognuno di noi: i ricchi vivono in un mondo sempre-presente, mentre i poveri seguono i ritmi dello spazio. Il funzionalismo e la tecnologia hanno modellato spazi pubblici ampi e anonimi nei quali è improbabile costruire relazioni, ma dove è sempre possibile sapere quale luogo appartiene al proprio ceto. Il così detto spazio positivo è funzionale sia per l’economia che per la politica: gli individui possono essere controllati e vengono fatti agire come dovrebbero o come è meglio per i governanti. Gli stessi social media fungono da dispositivi di controllo, inconsciamente agiti e subiti dagli individui.

Anche la conoscenza segue i dettami della globalizzazione. Velocità e informazione senza limiti stanno generando un sapere inconsistente, povero di comprensione e curiosità. Ci vengono forniti contenuti personalizzati per evitare di esporci al disagio e a opinioni differenti. Contemporaneamente, la globalizzazione ha portato alla democratizzazione della parola. Dunque, in un simile spazio intellettuale la semplificazione si fa paradigma dell’educazione contemporanea.

I social media determinano oltre alle modalità con cui pensiamo e conosciamo, anche i modi in cui viviamo le nostre vite. Esporre il proprio Sé è necessario per esistere nel mondo attuale. Siamo spinti a credere che la nostra vita sia merce di scambio, e chi possiede la più bella vince la felicità. La privacy è una fantasia per chi crede ancora di avere il totale controllo sulla propria vita. Anche l’intimità delle nostre relazioni è corrotta, e questo è particolarmente vero quando sentiamo l’urgenza di condividere la nostra intimità.

Ma la felicità che economia e tecnologia ci stanno offrendo è realmente vera? Oggi la maggior parte delle persone soffre di disturbi psicologici, soprattutto ansia e depressione. Il contatto con il nostro corpo e la nostra anima è minimo se non assente. Non riconosciamo la Natura come nostra madre primigenia. Siamo continuamente coinvolti in battaglie per il riconoscimento e la fama, e abbiamo perso la capacità di costruire relazioni positive e di valore.

È questa la vera felicità che stiamo cercando? Il progresso tecnologico non dovrebbe andare di pari passo con una conoscenza più profonda di noi stessi e del pianeta? Il prezzo che stiamo pagando per controllare il mondo, dimostrando la nostra superiorità specifica non vale il poco tempo che abbiamo da vivere. Affrontare e scoprire la complessità non è un modo per arrenderci. È il modo migliore per lasciare un impronta positiva su questo pianeta e vivere vite degne di essere vissute.

 

Gaia Miglietti

Dott.ssa in Interpretariato e Comunicazione con una tesi in Filosofia della Globalizzazione

Specializzata in inglese e arabo presso Iulm di Milano.

Traduttrice freelance.

 

Tags: filosofia, globalizzazione, spazio

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