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È biblioterapico perché…

06/03/2023

“Il cibo e la cucina sono delle grandi metafore dell’esistenza; quindi, si prestano particolarmente bene a essere incluse in una narrazione dell’esistenza, a rappresentarla in qualche modo”

Massimo Molinari

 

Qualche suggerimento di lettura per chi voglia pensare al cibo e alla cucina come a un’arte e luogo del tessere legami. Spesso intorno a una cucina si sviluppano storie e si raccontano storie, si creano memorie che coinvolgono tutti i sensi, si affida alla sua creatività alchemica lo sviluppo di un’identità comune. Il cibo e la cucina sono anche erotismo, sogno, spazio di affettività e calore. Il cibo ha una forte capacità di simbolizzazione, per questo intorno a una tavola o tra i sapori e i profumi di una cucina si richiama alla mente il gusto dell’eterno presente della vita.

 

 

UN FILO D’OLIO di Simonetta Agnello Hornby, Sellerio Editore

“Ogni ninfa ha il suo rito, e quello di Rosalia era il caffè d’u parrinu […]. La cuccuma del “caffè speciale” brontolava sul fornello, il coperchio ben chiuso, ma dal beccuccio sfuggiva un profumo speziato, anticipo del pieno aroma, e ci raggiungeva sottile sottile, penetrava nelle narici e poi invadeva la stanza: un misto di cacao, vaniglia, chiodi di garofano, caffè e cannella […] quel caffè mai offerto a gente di fuori legava le donne della famiglia di mamma a quelle della famiglia di Rosalia, che da sette generazioni abitava a Mosè, e celebrava l’indulgenza nel superfluo della gente dei campi, un’indulgenza rasente il peccato […] Anni dopo osai chiedere la ricetta. Rosalia non disse né sì, né no […] tutte le sue ricette le sapeva a memoria e temeva di non riuscire a scriverle per bene.”

E’ biblioterapico perchè…richiama in ciascuno di noi la memoria dei sapori e degli odori che hanno riempito i nostri sensi quando eravamo bambini, una memoria proustiana in grado di riportarci là dove non abbiamo mai smesso di essere.

 

LA RICETTA PERFETTA di Torgny Lindgren, edizioni Iperborea

“[…] La cosa peggiore, disse la donna, era che lei avrebbe continuato in eterno a preparare la polsa di Uno, era il minimo che potesse fare per lui. Quella che adesso aveva loro offerto era la polsa dell’anno prima, e in autunno avrebbe preparato la stessa polsa nella stessa quantità, non era pensabile nient’altro. Lo sapeva bene che Uno se n’era andato per sempre, ma non serviva, la cantina si sarebbe a poco a poco riempita di polsa dell’anno prima e dell’anno prima ancora e di polsa di tutti gli anni fino alla morte, non poteva farci niente. “Una polsa come questa sopporta di essere conservata per l’eternità”

“Il fatto è che così è la vita […] si hanno dei doveri.”

È biblioterapico perchè…chiunque di noi possiede nella propria memoria un cibo della tradizione che ha rappresentato la stabilità del ripetersi degli eventi. Perché un piatto della tradizione rappresenta molto più di un piacere dei sensi, può diventare simbolo della varietà umana e rappresentare il bisogno di punti fermi in grado di ricordarci chi siamo,  ma al contempo mostrarci la possibilità  dell’evoluzione che conserva l’essenza.

 

CHOCOLAT di Joanne Harris, edizione Garzanti

“[…] Mia madre preparava formule magiche e filtri, io ho sublimato tutto in un’alchimia più dolce. Non siamo mai state molto simili, io e lei. Lei sognava di levitazioni, di incontri astrali ed essenze segrete, io ho studiato attentamente ricette e menu di cui avevo fatto man bassa nei ristoranti dove non potevamo permetterci di pranzare. Lei prendeva in giro bonariamente le mie preoccupazioni materiali.

[…] E ora? In che cosa credo in questo preciso momento? Credo che essere felici sia l’unica cosa importante’. Felicità. Semplice come un bicchiere di cioccolata o tortuosa come il cuore. Amara. Dolce. Viva.”

È biblioterapico perchè…quando l’amore per il cibo diventa parte integrante della propria storia, si diventa anche capaci di alchimie sociali e di tessiture relazionali.

 

AFRODITA di Isabelle Allende, edizioni Feltrinelli

Dopo la morte di mia figlia Paula, trascorsi anni a tentare di esorcizzare la tristezza con rituali inutili. Per me furono secoli, durante i quali avevo la sensazione che il mondo avesse perso i colori e che il grigio universale si stendesse inesorabile sulle cose. Non so ricostruire con precisione il momento in cui ricomparvero le prime pennellate di colore, ma quando ripresi a sognare di mangiare, capii che ero prossima alla fine del lungo tunnel del dolore, e che stavo per riemergere dall’altra parte, in piena luce, con una voglia incontenibile di tornare al cibo e ai giochi amorosi.”

È biblioterapico perchè…il cibo è un elemento erotico potente e spesso quando si è accompagnati dal dolore emerge il rifiuto per i suoi colori, i suoi sapori, il calore che sa trasmettere. Qui la rinascita passa attraverso di essi.

 

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